NEWSLETTER GIIMA

NEWSLETTER GIIMA

Questa newsletter GIIMA vi raggiunge mentre è in corso una epidemia del virusSARS-CoV-2, in grado determinare la malattia da coronavirus denominato COVID-19.

Questo virus è stato anche denominato “virus Cinese“in quanto la prima epidemia è nata in un’ area rurale della Cina (Wuhan). Il virus non era patogeno per l’uomo ed è stato verosimilmente acquisito dagli animali.Sembra sia nato fra il 20 e il 25 novembre 2019 da un coronavirus degli animali (probabilmente un pipistrello) e da allora è diventato uno dei tanti virus umani che sfruttano le cellule del sistema respiratorio dell’uomo per moltiplicarsi. La ricostruzione delle mutazioni del coronavirus SarsCoV2 è stata fatta sia da ricercatori italiani che esteri attraverso l’utilizzo di banche dati accessibili online. Utilizzando gli strumenti della bioinformatica, i ricercatori hanno ricostruito l’evoluzione del coronavirus inseguendone le tracce nelle banche in cui dall’inizio di gennaio sono state inserite le sequenze genetiche del coronavirus. Su queste basi hanno notato che il coronavirus SarsCoV2 muta in continuazione e cerca di cambiare aspetto per essere in equilibrio con il sistema immunitario ospite. La terza mutazione del COVID-19 sembra sia  stata quella decisiva: a trasformarsi è stata la proteine di superficie chiamata ‘spike’ (punta, spina), quella che per prima viene a contatto con le cellule. Questa mutazione ha permesso al virus di fare il salto di specie e giungere all’uomo, innescando l’epidemia umana. Questo virus sembra più virulento rispetto a quello della Sars, ma meno pericoloso in quanto gravato da una letalità inferiore, anche se i dati di mortalità generali, sembrano indicarne il contrario. Era il 21 Febbraio 2020 quando si è registrato il 1 caso di infezione in Italia, nel lodigiano, Lombardia, anche se sembra che i primi casi di polmoniti atipiche siano state riscontrate nelle settimane precedenti. Ma di ciò non vi è una prova scientifica. I contagi  si sono succeduti con sorprendente velocità e non vi è stato il tempo per pianificare una barriera sanitaria. Vi sono moltissime implicazioni ematologiche correlate a questo virus, oltre la classica polmonite interstiziale, e tra queste cito la comparsa di linfocitopenia, depressione dei linfociti sia CD4 che CD8, un incremento del dimero D e una diatesi trombotica.

Interessante il dato che il COVID19 può causare, nella 2 fase infiammatoria che segue alla fase di replicazione virale, una “sindrome da rilascio di citochine” (al pari di ciò che succede dopo i terapia con CAR-T o anticorpi monoclonali di tipo Byte) che può essente trattata con farmaci anti-interleuchina 6 quali il tocilizumab. Questa pandemia ha sicuramente avuto un impatto sulla attività trapiantologica, e vi rimando alla linee guida pubblicate sul sito EBMT (https://www.ebmt.org). Per quanto attiene la parte trasfusionale, vi sono interessanti studi che riportano l’utilizzo del siero di convalescenti ottenuti da pazienti guariti dalla malattia COVID19 nei pazienti con malattia attiva. La procedura standard per il suo ottenimento è la plasmaferesi.

A cura di Francesco Lanza

 

Crioconservazione di cellule staminali ematopoietiche: test emergenti, agenti crioprotettori etecnologia per migliorare i risultati.

A cura di Paolo Longoni (Milano ) e Cristina Rabascio (Milano)

In questa recensione, gli autori discutono e illustrano, nei vari paragrafi, argomenti riguardanti l’utilizzo dei crioprotettori e i fattori fondamentali che determinano una buona riuscita del processo di crioconservazione delle cellule staminali come: concentrazione cellulare, stabilità delle cellule crioconservate, e velocità di raffreddamento.Gli autori corredano ad ogni argomento trattato una esaustiva bibliografia.

 

Articolo : Cryopreservation of Hematopoietic Stem Cells: Emerging Assays, Cryoprotectant Agents, and Technology to Improve Outcomes

Transfus Med Hemother 2019;46:188–196

 

Tratteremo in questa newsletter il 1°paragrafo riguardante l’utilizzo del crioprotettore DMSO e dei nuovi crioprotettori.

Nella recensione si mettono in evidenza studi riguardanti la migliore concentrazione di DMSO da utilizzarsi nella fase di congelamento delle cellule staminali (la concentrazione del 10% è la più utilizzata) , per evitare reazioni avverse imputabili al crioprotettore durante la re infusione. Al punto bibliografico 28 gli autori fanno riferimento ad un interessante lavoro prospettico pubblicato nel 2018 da Mitrus et al (Bone Marrow Transplantation (2018) 53: 274-280) riguardante la riduzione del DMSO nella criopreservazione delle cellule staminali, dimostrando che una concentrazione del 5% garantisce gli stessi risultati dell’engrafment di quella ‘standard ‘al 10%. Lo studio ha valutato il potenziale clonogenico in vitro di cellule staminali criospreservate con diverse concentrazione di DMSO, e in vivo il potenziale clonogenico di staminali congelate con diverse concentrazioni del crioprotettore (5-7,5-10%), poi reinfuse nell’ambito di procedure auto-trapiantologiche. Gli autori hanno correlato le diverse concentrazioni di DMSO con variabili cliniche e di laboratorio, fra le quali citiamo vitalità post congelamento, numero di CD 34 + reinfuse, volume della sospensione cellulare reinfusa, volume del DMSO reinfuso, eventi avversi durante la reinfusione, dati di attecchimento, durata della degenza, supporto trasfusionale durata della neutropenia febbrile. La randomizzazione è avvenuta prima dell’inizio del regime di mobilizzazione, che è consistito in dosi intermedie di citarabina associate a GCSF o nel solo G-CSF. L’end point primario dello studio è stato il tempo di attecchimento dei leucociti, dei neutrofili e piastrinico. Sono stati randomizzati 150 pazienti (essenzialmente linfomi e mielomi), 50 per braccio, e di questi 143 sono stati effettivamente autotrapiantati. Gli autori non si soffermano particolarmente sulla clinica pre trapianto, ma le principali variabili (diagnosi, età, rapporto maschi/ femmine, tipo di condizionamento) sono bilanciate nelle trecoorti. I test di vitalità post scongelamento (mediante colorazione con trypan blue) non hanno visto differenze, così come il numero di CD34+ effettivamente trapiantate e il volume delle sospensioni cellulari reinfuse. Non analizzato il rapporto fra leucociti e CD34+ contenute nelle sacche reinfuse, che sappiamo influenzare gli effetti collaterali e l’attecchimento piastrinico. Chiaramente ridottoil volume mediano di DMSO reinfuso (da 40 ml del gruppo 10% ai 20 ml della coorte 5%) è statisticamente significativa la riduzione di pazienti con effetti collaterali durante le reinfusione delle cellule staminali fra il gruppo 10% e quello 5% (41.7% nel gruppo 10%, 33,3% in quello 7,5% e 19,1% in quello 5%). Come è usuale, tali eventi sono stati decritti dagli autori come di lieve-moderata entità e sono stati essenzialmente rappresentati da nausea, vomito, disturbi pressori. Da sottolineare nessuna differenza negli end point principali dello studio (dati di attecchimento) e nemmeno sui tempi di ospedalizzazione o sulla durata della neutropenia febbrile o sul supporto trasfusionale piastrinico, mentre vi è una significativa riduzione del supporto trasfusionale eritrocitario nei gruppi 7,5% e 5%.Lo studio semplice e lineare propone la concentrazione di DMSO al 5% come nuovo standard per la riduzione degli effetti collaterali, e la non necessità di manovre sicuramente più impegnative per evitarli, quali il lavaggio delle sacche scongelate o la distribuzione delle reinfusioni in più giorni per non eccedere nella dose quotidiana di DMSO somministrata al paziente .

Altri metodi descritti nella recensione, per la riduzione della tossicità da DMSO,prevedono una riduzione quantitativa del medesimo e l’aggiunta di un altro componente.

Gli autori fanno riferimento ad uno studio di Hayakawa et al. citato nel riferimento bibliografico 26, che ha utilizzato il 5% di DMSO unito a 5% di pentastarch (sottogruppo di amido idrossietilico, con cinque gruppi idrossietilici su ogni 11 idrossili) nella crioconservazione di cellule staminali da cordone ombelicale, l’utilizzo della combinazione avrebbe fatto ottenere una maggiore vitalità post-scongelamento rispetto all’utilizzo del solo DMSO alla concentrazione standard del 10%.

 

McCullough e Sputtek et al citati rispettivamente ai riferimenti bibliografici 29 e 30 hanno esplorato l’uso dell’amido idrossietilico (HES)miscelato con DMSO a diversi rapporti per migliorare la crioconservazione riscontrando che il 5%DMSO in presenza di HES al 6% è sufficiente per una buona crioconservazione.

 

Conclusioni ed osservazioni:

Il paragrafo inerente ai nuovi crioprotettorie i riferimenti bibliografici citati ed analizzati aiutano a fare le dovute valutazioni per la riduzione della tossicità trapiantologica mantenendo una buona vitalità cellulare. Si sottolinea come spesso la decisione di utilizzare e reinfondere prodotti contenenti diverse percentuali e diversi ml di crioconservante presente nel prodotto debba essere ritagliata sul paziente che necessita di trapianto. Una recensione utile agli operatori tecnici in un campo molto complesso e inoltre un aggiornamento da utilizzarsi in relazione agli standards Jacie che prevedono la validazione dei metodi e dei prodotti utilizzati per uso trapiantologico nei vari laboratori. Invitiamo gli operatori tecnici dei laboratori a fare le loro considerazioni e a fornirci i loro commenti e loro esperienza al riguardo su queste pagine.